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Blog Storia PCI
sabato 9 maggio 2020
(revisione: 18 agosto 2020 00:09:44)

I viaggi di Carlo Galluzzi

I ricordi di viaggio di un diplomatico del PCI

Carlo Galluzzi, La Svolta, Gli anni cruciali del Partito Comunista Italiano, Sperling & Kupfer Editori, Milano, 1983

Carlo Galluzzi (Firenze, 1919-2000) viene presentato, nel risvolto di copertina di La Svolta, come 'responsabile del lavoro internazionale del PCI', dal 1962 al 1969. In La Svolta Galluzzi racconta i suoi viaggi nel composito mondo del comunismo reale degli anni '60 e '70 del secolo scorso, e in particolare degli incontri, di alto livello, con le dirigenze comuniste, a cui egli partecipò quale appunto responsabile delle relazioni del PCI con i partiti 'fratelli'.  Il racconto è  piano e fattuale, con poca o nessuna indulgenza retorica, e un certo gusto per una aneddotistica leggera, che ne rende la lettura piacevole. Il libro è del 1983, predata il crollo dell'URSS, e anche la morte di Berlinguer del 1984, ma è successivo al colpo di stato di Jaruzelski in Polonia del 1981; vi si legge la consapevolezza che una certa storia si è conclusa, ma senza alcuna preveggenza di come poi finirà. Si tratta di una lettura istruttiva, che mostra, da un occhio interno, lo strano ambivalente status del ceto dirigente del PCI nell'Italia repubblicana, post guerra. Da una parte,  poco o nulla si ritrova, in Galluzzi, di una qualche attitudine esistenziale antagonista, ovvero nulla di quel che, pur nelle innumerevoli differenze di personalità, circostanze e comportamenti, era stata comunque un tratto presente e identificativo delle biografie della dirigenza comunista, sia della prima generazione figlia dell'entusiasmo per il 1917, sia della seconda emersa nell'esperienza della seconda guerra mondiale e della resistenza. Quella del Galluzzi, di biografie, non presenta traccia del fascino della rivoluzione, e a quanto leggo neppure un episodio analogo ai tre mesi di carcere subiti da un giovane Enrico Berlinguer per aver partecipato a degli scontri di piazza. La sua, nei modi e nel racconto, sembra piuttosto la carriera di un manager, in giacca e cravatta, con responsabilità importanti, anche se non apicali, e internazionali, una buona intelligenza degli uomini e delle cose del mondo, ma che agisce nei limiti del suo incarico 'aziendale',  intellettualmente estraneo (più estraneo che ostile) a considerazioni radicali, ideali o ideologiche che siano. Assenti sono nel libro considerazioni che in qualche modo spieghino perché si sia considerato un comunista, abbia assunto rilevanti responsabilità in un partito non genericamente progressista e democratico, ma almeno sulla carta marxista.  E dall'altra parte, questi viaggi di Galluzzi, non tanto per i luoghi e le persone che incontra ma sopratutto per i luoghi e le persone che non incontra, mostrano ampiamente e ripetutamente un elemento se non antagonista certo incongruo rispetto alla situazione storica italiana e delle sue (forzate, dovute, volute?) relazioni internazionali nel secondo dopoguerra. Mi riferisco ovviamente alla circostanza che Galluzzi -nell'arco temporale del libro, per quello che lui stesso racconta- non sembra aver avuto contatti internazionali esterni al mondo del comunismo reale, se non alcuni rari e piuttosto impacciati con la socialdemocrazia tedesca, nessuno pare con il mondo democratico e/o liberal statunitense (o il movimento dei diritto civili), e neppure con altri, per esempio nel Sud del mondo.  Ce ne dovremmo sorprendere? Io credo di si. Certo potrebbe essere giudicato un facile e un poco ipocrita anacronismo lo stupirsi per quella preferenza e familiarità con la dirigenza del PCUS, oggi che tutto quel mondo è scomparso. Ma la dialettica io credo sia più lunga: alla sorpresa facile, 'perbenista', di chi giudica sulla base soltanto del panorama presente, per cui, essendo ormai lontana la presenza dell'URSS, rimane oscuro come un persona dall'apparenza del tutto integrata nell'Italia paese 'occidentale' possa avere avuto tale familiarità, si può certo ribattere riportando alla memoria i tanti elementi storici e politici che rendevono il percorso umano e politico di un Galluzzi del tutto plausibile e perfino meritorio. Ma a un ulteriore livello di analisi, anche da parte di chi non eviti di allungare lo sguardo fin dentro la storia meno recente, tutte le principali circostanze prese in dovuta considerazione, io credo che la chiara accettata esclusività delle frequentazioni di un Galluzzi, e con lui di quella parte d'Italia che egli rappresentava, devono invece comunque soprendere, e chiedere -a tutti e agli storici in particolare- una spiegazione. Ovviamente, si tocca qui un punctum dolens della intera presenza del PCI nella storia repubblicana, e di quali costi politici ciò abbia comportato (o se invece vi sia un motivo in qualche modo da rivendicare e di orgoglio). Nonostante il suo profilo di diplomatico di carriera (benché di 'partito'), l'autore di La Svolta non sembra veramente rendersi conto, nemmeno in un libro di bilanci come questo, che non poteva eludere di discutere l'assenza di alcune mete nei suoi viaggi e relazioni; già nel 1983 quelle assenze dovevano essere  spiegate se non proprio giustificate (non so, e mi incuriosisce, se il Galluzzi vi abbia riflettuto poi in anni successivi). Come sia stato possibile che un tale non poter eludere sia stato invece piuttosto eluso da tutto quel ceto politico è un interessante problema storiografico, di cui questo ormai datato libro fornisce chiare evidenze, anche se non ne contiene una adeguata spiegazione.  Infine, ci fu Svolta? Che Galluzzi fosse convinto di averla cercata non posso metterlo in dubbio, che la raggiunse, e per la strada maestra, il suo stesso libro alla fine non lo asserisce.

I viaggi.

I capitoli di La Svolta, intitolati con nomi di città, corrispondono alle trasferte di 'lavoro internazionale' del Galluzzi, tra cui alcuni missioni piuttosto impegnative al seguito dei successivi Segretari del PCI:  Togliatti, Longo, Berlinguer. In particolare:

  • Mosca, 1961. Viaggio con la delegazione italiana al XXII congresso del PCUS, quello in cui Krusciov riprese con ulteriore forza la sua battaglia interna, e a cui seguì in Italia il Comitato Centrale del Novembre 1961, di cui è stato autorevolmente detto, anni dopo da Natta, che fu "il momento decisivo della riflessione critica e della resa dei conti con lo stalinismo". Interessante che Galluzzi, a quel tempo un funzionario di 42 anni, sia stato invitato ad accompagnare personalmente Togliatti, che viaggiò in treno, da Amadesi, segretario particolare di Togliati fin dagli anni trenta moscoviti e stalinisti, e che poi per esempio sarà anche nella commissione interna di indagine su Secchia e la fuga di Seniga. Galluzzi non lo dice espressamente, ma sembra proprio che si trattò di una investitura importante, da parte del ristretto nucleo nel PCI che rappresentava la massima continuità nelle relazioni con i sovietici. Il capitolo arriva fino alla scomparsa di Togliatti, il suo memoriale di Yalta, e la destituzione di Krusciov. Su quest'ultimo i giudizi di Galluzzi sono piuttosto severi, e confermano che il PCI di Togliatti rimase piuttosto freddo circa tutta l'esperienza kruscioviana, ma la sua destituzione viene qui giudicata una vittoria dei conservatori.

  • Il Cairo, 1965. Resoconto molto disincantato sull'incontro della delegazione del PCI guidata da Pajetta con la Lega Socialista Araba e la 'rivoluzione' nasseriana. Un viaggio che appare svolto per dovere, forse suggerito, nell'ambito del tentativo sovietico di integrare Nasser nella politica internazionale di Mosca, tentativo che fallirà con la sconfitta di Nasser nella guerra contro Israele del 1967. Nell'economia di La Svolta, appare l'unico viaggio nel sud del mondo, anche se chiaramente non per una qualche simpatia per gli allora non-allineati, o per personalità e situazioni eccentriche rispetto allo competizione politica principale di quegli anni.

  • Varsavia, 1966. Viaggio al seguito di Longo, per incontrare Gomulka. Strano viaggio, descritto come un tentativo di Longo di trovare una intesa con il leader polacco, e il suo profilo di indipendenza da Mosca; tentativo indicato come destinato a fallire, non fosse altro perché in ritardo rispetto alla parabola di Gomulka stesso, la sua autonomia viene detta dal Galluzzi a quel momento ormai "riassorbita".

  • San Remo, 1966. Incontro bilaterale PCI-PCF. Un riavvicinamento al PCF, voluto da Berlinguer nel tentativo di costituire una fronda nella paventata riunione dei partiti comunisti voluta da Mosca in quello scorcio di anni. La descrizione di maniera delle differenze tra PCF e PCI, settario e iper leninista il primo, figlio dell'unità antifascista il secondo e per questo più democratico, mi sembrono le pagine meno riuscite dell'intero libro.

  • Pechino, Hanoi, Pyongyang (e tappe a Mosca), 1966-67. Le follie della rivoluzione culturale cinese, La Pira e la lotta del Vietnam, gli incontri con Ho Ci Minh e Giap, lo sproloquio (antimaoista) di Kim Ir Sun a Pyongyang, le lunghe attese negli aeroporti, e le arzigogolate pratiche per avere i visti, e anche le tappe -all'inzio e alla fine del giro orientale- a Mosca a riferire con Suslov e gli altri della dirigenza sovietica. Un viaggio al seguito di Berlinguer in effetti memorabile, che verrrà ricordato anche nei necrologi dedicati a Galluzzi nel 2000. Nell'insieme a me sembra un viaggio già di investitura moscovita per la nomina di Berlinguer a segretario del PCI (del 1972, ma già dal 1969 Berlinguer lo sarà di fatto), e quel che Galluzzi racconta, oltre la messe di aneddoti, mi sembra lo confermi. Interessante l'incipit del capitolo, con il ricordo dell'eccidio dei comunisti indonesiani e dei loro errori.

  • Karlovy Vary, 1967. Conferenza dei partiti comunisti europei, a quanto leggiamo voluta e preparata dal PCI, e il cui focus ("pur sotto lo schermo del dibattito sui principi") fu "il problema tedesco". Siamo all'inizo della Ostpolitik tedesca, e dell'emergere di Brandt, e il protagonismo del PCI è molto interessante. Suona un poco bizzarro (ma deve avere avuto una sua importanza che mi sfugge) l'elenco - presentato senza l'usuale disincanto - dei partiti comunisti presenti: Galluzzi non dimentica di ricordare quelli di Berlino Ovest, di San Marino e dell'Irlanda del Nord. Interessanti i dettagli delle relazioni di allora tra partiti comunisti, con gli italiani che dopo la conferenza informano gli assenti jugoslavi e rumeni su gli esiti della stessa. Nell'insieme un episodio che mostra come, in quegli anni, l'ambito di movimento del PCI, per quanto originale, fosse ancora molto all'interno di una ricerca di assenso con il PCUS. A me sembra Galluzzi si dispiacqua che il proprio partito non avesse una distanza dal PCUS quale quella allora ormai scontata di jugoslavi e rumeni, verso cui in effetti nell'intero libro non leva alcuna critica.

  • Parigi, 1967-68. Su richiesta di Fanfani, che sperava di ospitare a Roma i/dei colloqui di pace per il Vietnam, Galluzzi si muove per saggiare gli interlocutori vietnamiti. Il tentativo di Fanfani fallirà, per ovvie ragioni che Galluzzi pure elenca. Episodio interessante per pensare a un certo ruolo di spalla che il PCI potè assumere nella relazioni internazionali della DC e del mondo cattolico italiano.

  • Bonn, 1969. Il viaggio con Berlinguer nell'allora Germania federale e occidentale, per incontrare Brandt e gli uomini della socialdemocrazia tedesca impegnati nella Ostpolitik; un viaggio preparato fin dalla conferenza di Karlovy Vary e con successivi incontri a Roma, e che poteva risultare epocale, ma che invece fu condotto in sordina, l'incontro diretto Berlinguer-Brandt mancato per un disguido di orari (ma molto tra le righe Galluzzi sembra suggerire un disguido cercato più da Berlinguer che da Brandt), i possibili frutti non matureranno mai completamente ("in realtà il PCI e la SPD non erano pronti a un reale confronto").

  • Praga (e tappa finale a Mosca), 1967-1968.  Il ricco, frenetico resoconto dei numerosi viaggi a Praga durante la sua Primavera, prima per capire, poi per solidarizzare e infine per cercare di correre ai ripari. Il viaggio a Praga del Maggio 1968, in cui Longo si espose nel sostegno a Dubcek, quello con Berlinguer a Mosca a sentire le prove di Ponomarev a giustificazione dell'invio dei carri armati a Praga, con il racconto del braccio di ferro su come stilare il comunicato finale congiunto PCI-PCUS. Nel mezzo le giornate dell'agosto 1968, quelle dell'arrivo dei carri armati, a cercare di contattare Longo in vacanza in una dacia in URSS, non preavvertito dai russi degli imminenti sviluppi.

  • Mosca, 1969. Conferenza mondiale dei partiti comunisti e operai, voluta dal PCUS. Riunioni preparatorie, emendamenti e riscritture di documenti, la pesata e simbolica formazione della delegazione italiana, il diverso schierarsi delle delegazioni (e appare oggi bizzarro che  la posizione che Galluzzi presenti come la più vicina a quella del PCI sia quella del rumeno Ceausescu). "Il discorso di Berlinguer [...] fu una manifestazione di autonomia, all'interno di una scelta di campo che rimaneva ferma".

  • Tokio (e anche Phnom Penh, di nuovo Tokio, Irkutsk e Mosca), 1970.  Tragicomico viaggio con una piccola delegazione esteri del PCI, nel vano tentativo di poter riallacciare i rapporti con il partito comunista cinese. Tappe a Tokio, una visita di cortesia al partito comunista giapponese, copertura del tentativo di ottenere un visto per la Cina senza riuscirci;  a Phnom Pehn in una seconda attesa di un visto per entrare in Cina che non arriverà; in Siberia in attesa di un volo per Pyongyang che neppure arriverà. Di fatto un viaggio flop che appare concludere l'esperienza di diplomatico del PCI di Galluzzi, e che manifesta la difficoltà anche solo logistica per il PCI di realizzare iniziative indipendenti da Mosca nell'ambito del movimento comunista. (Galluzzi spiega il fallimento con l'incontro Kossighin-Ciu En Lai in occasione dei funerali di Ho Ci Minh, che rese ai cinesi un incontro con una delegazione italiana non più opportuno. I rapporti tra PCI e PCC si ristabiliranno solo nel 1980, con un noto viaggio di Berlinguer). Interessante l'incipit del capitolo, con il viaggio a Bucarest a chiedere spiegazioni della visita di Nixon, e in cui i rumeni millantano conoscenza della volontà cinese di riallacciare i rapporti con il PCI, da cui il girovagare orientale di Galluzzi.

  • Strasburgo, 1981. Colpo di stato in Polonia, per Galluzzi l'evento cesura,  almeno personale, del cordone con l'URSS. Cedendo un minimo alla retorica, ricordando il volo che lo porta a Strasburgo quale europarlamentare (non eletto, ma nominato dal Parlamento nazionale), Galluzzi conclude il suo racconto con un vago appello al dialogo tra le sinistre europee.


Qualche nota di lettura

  1. Luigi Longo. Benché oggetto di diverse ironie, Longo appare nei resoconti di Galluzzi muoversi con una certa decisione, negli anni della sua segreteria, dal 1964 al 1968, in appoggio alle manifestazioni di autonomia e indipendenza nella Europa dell'Est di allora. I suoi due tentativi, con Gomulka e con Dubcek, risultarono troppo ottimistici, ma anche -con il senno di poi- piuttosto interessanti, e devono aver messo Longo in rotta di collissione con Mosca più di quanto di solito si pensi. Benché molto più elaborate, le successive iniziative di Berlinguer appaiono si muovessero con maggior cautela.

  2. Germania (e socialisti italiani). La questione tedesca è stata certo quella centrale nello scacchiere europeo della guerra fredda. Galluzzi racconta molto, tra conferenza di Karlovy Vary e mancato incontro con Brandt, di come il PCI fosse attento alla questione. Come e quando l'evolversi della questione tedesca nell'Europa divisa del secondo dopoguerra scandisca anche i tempi delle contorta ricerca di una mutazione di collocazione dei comunisti italiani è una questione interessante, che meriterebbe un altro post (o meglio un attento studio dedicato). Di fatto quando la prima si risolve, anche la seconda trova la sua definizione (certo si potrebbe dire, per forza maggiore). (E problema nel problema, io trovo significativo che Galluzzi nemmeno accenni, nel racconto della ricerca di un rapporto con Brandt e la socialdemocrazia tedesca, se e come i socialisti e socialdemocratici italiani furono coinvolti).

  3. Ufficio Esteri del PCI. Il PCI ebbe un piccolo apparato di funzionari e dirigenti destinati alle relazioni internazionali. Chi furono esattamente? Quale cultura e preparazione avevano? Secondo quali modelli e prassi comportamentali agirono? Quali furono i protocolli seguiti per la selezione del personale 'esteri' del PCI? Come si relazionarono con la diplomazia italiana e come furono controllati dalla  forze di polizia italiana e/o della sicurezza atlantica? Quali snodi storici affrontarono e come? Non so se la ricerca delle carte e il loro studio sia stato compiuto da qualcuno, ma sarebbe interessante anche solo sapere quanti missioni, oltre a quelle raccontate da Galluzzi, ci furono, e chi vi partecipò.

  4. La Svolta. Galluzzi non precisa cosa intenda per Svolta, e il libro non include una disamina dei tratti peculiari del PCI da cui poi Svoltare. Nel capitolo finale la Svolta è verso una auspicata sinistra europea, ma durante lo svolgersi dei viaggi non è chiaro che quella fosse la meta. Per quanto oggi possa sembrare inverosimile, in diversi passaggi, è il distacco da Mosca di jugoslavi e rumeni, oltre che dei cinesi, che sembra interessare all'autore, come se -senza dirlo- avesse pensato a un futuro del PCI continuista nei suoi tratti fondamentali, ma portato dalle forze centrifughe del mondo del comunismo reale sufficientemente lontano dalla Mosca sovietica. Non andrà così.



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