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Note di biografia gramsciana,
e sulle vittime italiane delle epurazioni staliniane

domenica 17 marzo 2024 (revisione: 24 marzo 2024 21:45:59)

La fine dell'URSS. Un bel articolo di Sergio Sergi

da il Blog StrisciaRossa

Da https://www.strisciarossa.it/urss-le-carote-la-cicoria-il-complotto-delle-patate-e-infine-il-golpe-dagosto-in-un-paese-allo-stremo/

Un bel articolo a firma Sergio Sergi, su gli ultimi giorni dell'URSS e della segreteria del PCUS di Gorbaciov. Capisco che il Sergi sia stato un giornalista dell'Unità, e strisciarossa.it un blog di ex dell'Unità.  Per i temi di questo nostro blog, interessante - in chiusa dell'articolo - il saluto a Leonardo Damiani.

[UPDATE] Il Sergi, dell'anziano Damiani, ne deve esser diventato amico, e negli anni '90 si deve essere prodigato per fargli restituire la cittadinanza italiana. In coda inserisco la scansioni degli articoli dell'Unità, anni '90 secolo scorso, che il Sergi dedicò a Damiani. Non so se la richiesta di rilasciare a Damiani il passaporto italiano sia mai stata esaudita. Nel mio artcolo Gli Elenchi, si trova scansione delle scheda a nome Damiani compilata nella seconda metà degli anni '30, a Mosca, e la nota su l'arresto.

Una osservazione. Scrive il Sergi ''Il giovane comunista Leonardo subì, come tutti, la repressione staliniana". Ma l'inciso è sbagliato, e latamente giustificazionista, non proprio tutti infatti, che la dirigenza del PCdI passò la repressione staliniana sostanzialmente indenne, differenza non da poco. Più interessante sarebbe capire perché il Damiani fu tra quelli si repressi ma non fucilati, a quale categoria di sospetti fu iscritto.

L’inattesa telefonata di Leonid Popov: “Vieni in campagna con noi”

E, dunque, trillò il telefono. “Dobroye utro, buon giorno Sergio. Sono Leonid”. Buon giorno Leonid, cosa succede? Lui è Leonid Popov, funzionario della sezione Esteri del Pcus, italianista. L’uomo con i baffetti che molti ricorderanno a fianco di Mikhail Gorbaciov in veste di interprete. Mi dice: “Sai, ti vorremmo invitare a raccogliere carote nelle campagne, un po’ fuori Mosca”. La proposta mi spiazzò. Raccogliere carote? “Siamo un gruppetto del nostro ufficio, c’è anche Anatoly, tu vieni con Pavel”. Anatoly Orël era, al tempo, anche lui un funzionario che si occupava dei rapporti con l’Italia. Un giorno, dopo qualche anno, lo ritrovai come primo ambasciatore a Roma dell’Ucraina indipendente dopo la dissoluzione dell’Urss; e ancora qualche anno più recente, nei corridoi del Parlamento europeo a Bruxelles, come consigliere del presidente ucraino Janukovic, costretto poi a fuggire per i fatti di piazza Maidan e riparare precipitosamente a Mosca. Pavel è lo storico collaboratore dei corrispondenti de l’Unità. Insomma, si erano persuasi che mi avrebbe fatto piacere assistere alla loro iniziativa che, nei fatti, era la conferma della situazione drammatica in cui versava il settore agroalimentare sovietico.

Era stata un’estate particolarmente piovosa. Si perdevano i raccolti, marcivano a terra, specialmente pomodori, cavoli e, appunto, carote. Per tutto il 1990, l’anno precedente al golpe dell’agosto 1991, c’era un clima molto strano: continue voci di truppe in movimento verso la capitale seguite da smentite, insomma allarmi su un possibile e temuto colpo di Stato ad opera dei gruppi conservatori dentro il Pcus e nell’esercito. Era stato l’anno dell’affermazione elettorale dei riformatori e radicali di Boris Eltsin. Era finalmente possibile votare in libertà, si poteva mettere la scheda nell’urna per il rinnovo dei Soviet, locali e statali. Boris Eltsin, quasi in rotta definitiva con il Pcus, infatti, vinse in Russia come presidente della Federazione. La campagna elettorale fu una vera competizione, tra i candidati del Pcus e quelli di “Piattaforma Democratica”, i cosiddetti liberal, legati a Eltsin e agli intellettuali dissidenti che ispiravano la battaglia contro il partito unico. Comizi, dibattiti infuocati, sui giornali e in tv. Ci fu, finalmente, una indigestione di democrazia. La “glasnost” di Gorbaciov funzionava, eccome se funzionava. Per strada ti davano i volantini dei candidati: pubblicazioni rudimentali ma con le foto del candidato e le parole d’ordine. Più o meno come i nostri “santini”. C’era stata un’anticipazione: la Conferenza di organizzazione del Pcus nel 1989. Per la prima volta i lavori per una buona parte venivano trasmessi in diretta radiofonica e i cittadini si portavano per strada le radio a transistor. Una novità assoluta. Il corpaccione Urss veniva scosso nel profondo. Certo, molto di più nella capitale e nelle altre grandi città, meno nella periferia profonda. Ma s’era giunti alla maturazione politica avviata con l’avvento di Gorbaciov alla segreteria del Pcus. Questa ventata era la conseguenza della politica dell’innovatore che aveva cancellato la stagnazione brezneviana. Perestrojka e glasnost. Una rivoluzione democratica.

Il drammatico XXVIII congresso del Pcus

In questo clima si era svolto il XXVIII congresso del Pcus. Un congresso drammatico, vinto alla fine da Gorbaciov rieletto Segretario generale. Ma che vide l’affondo di Eltsin. Il 6 luglio Boris Nikolaevich andò alla tribuna e disse: “Il Pcus deve cambiare nome e trasformarsi in partito parlamentare come tutti gli altri rinunciando al potere nell’esercito, nel Kgb e nello Stato”. Non solo: si chiedeva la nazionalizzazione dei beni appartenenti al Pcus. Il 12 luglio Eltsin bruciò le tappe e annunciò l’uscita dal partito con la consegna della tessera: “Siamo ormai nel tempo del multipartitismo, io devo rappresentare tutti come presidente della Russia”. Insomma, in poco tempo s’erano rivoltate le cose. Il mondo sovietico aveva impresso un ritmo vorticoso alla propria trasformazione. La politica era andata avanti ma non l’economia. Gorbaciov, che aveva dovuto governare la fase complessa seguita alla caduta del Muro di Berlino avvenuta otto mesi prima, si barcamenava su vari fronti: il fuoco amico dei radicali eltsiniani, l’altro fuoco amico dei “destri” del Partito, i vari Rizhkov, Lukianoiv, Ligaciov, Janaev (che poi sarà tra i golpisti poco sobri del 19 agosto 1991), ed il fronte estero combattuto se garantire un piano di consistenti aiuti per far uscire l’Urss da una situazione economica molto precaria. Perché, in fondo, c’era un debito da pagare alla lungimiranza di Mikhail Gorbaciov che stava accompagnando l’unificazione delle “due Germanie” per evitare al mondo uno scenario pericolosissimo.

La crisi economica e sociale pesava sulla pelle dei sovietici. Ma l’Unione era ancora in vita; e tutta intera, dal Baltico sino alle repubbliche asiatiche. Gorbaciov, dopo la sofferta vittoria al congresso che lo rielesse segretario generale, con un compromesso con le forze moderate, accolse il cancelliere tedesco Helmut Kohl. Se lo portò addirittura nelle sue campagne native, a Mineralnje Vody, città di acque termali, e lo fece salire su una fiammante mietitrebbiatrice, la “Don 1500”. I due andarono un po’ avanti e indietro per i campi in un’atmosfera oltremodo familiare. Fu in quella occasione che Gorbaciov sciolse tutte le riserve e, avendo ancora le truppe dell’armata rossa sul territorio orientale, annunciò che Mosca non si sarebbe opposta all’ingresso della Germania unificata nella Nato e per di più le truppe sarebbero andate via definitivamente nel giro di quattro anni. Si può ben capire quale contraccolpo ci sarebbe stato nei gruppi dirigenti del complesso militare-industriale e dello stesso Pcus. Però Gorbaciov andava avanti. All’estero il suo alto gradimento non era scalfito, era sempre vivo il ricordo del grido ritmato “Gorby! Gorby!” per le strade di Milano e, soprattutto, quello dei giovani di Berlino, un mese prima dell’apertura della breccia nel Muro. Mi capitò d’essere quel giorno sull’Unter den Linden, il viale dei Tigli, ed assistere, insieme a Paolo Soldini corrispondente da Berlino, alla deposizione di una corona di fiori al monumento del milite ignoto. Fu lì che Gorbaciov, avendo accanto Eric Honecker, capo della Sed, il partito comunista tedesco, disse ai giornalisti: “La Storia punisce chi arriva in ritardo”. A novembre il Muro crollò.

Quando Gorbaciov capì che l’Urss rischiava grosso

Era in ritardo anche Gorbaciov? Avvertiva, certamente, che l’Urss rischiava grosso. La perestrojka nasceva da questa urgenza. Però c’era la realtà del Paese che incalzava, con l’economia a pezzi. E, dunque, accettai quell’invito per andare “a carote” e vedere da vicino. Fu un viaggio di un’ora verso la destinazione: un kolchoz, un’azienda agricola collettiva, poco fuori dall’anello grande che circonda Mosca. Attraversai la città in auto e dappertutto, sui marciapiedi, c’erano le file davanti ai negozi di frutta e verdura. Era la prova anticipata di quel che avrei trovato in campagna: la produzione abbandonata, nessuno che la raccogliesse. Ricordo a distanza di tanti anni d’aver raccolto carote enormi ma non risollevai l’economia sovietica né contribuii a ridurre il “defizit” delle rivendite. In Urss, quell’estate, c’erano scene da razionamento. Mancava lo zucchero da molto tempo, le banane erano un frutto proibito, il formaggio assente. Nei mercati colcosiani, tipo il Zentralny Rinok, la carne era schizzata a prezzi inavvicinabili. Gorbaciov aveva ammesso che bisognava affrontare “scelte dolorose”. A Mosca e Leningrado decine di pullman scaricavano non residenti che tentavano di razzolare dagli scaffali dei negozi tutto il possibile cosi che il sindaco della capitale, Gavril Popov, dispose che gli acquisti si potevano fare solo dietro esibizione della “propiska”, il permesso di soggiorno, una sorta di passaporto interno che attestava la residenza. Ai famosi “Gum”, i magazzini di stato sulla Piazza Rossa, avevano aperto da poco alcuni negozi in valuta estera. Ma le vetrine erano oscurate da tendine perché la vista delle scarpe per bimbi o delle batterie per le radio portatili sarebbe stata un pugno nello stomaco.

Il 31 gennaio del 1990 in piazza Puskin venne inaugurato il primo McDonald’s: si creò una fila chilometrica per assaggiare l’hamburger. Una famosa catena americana, Pizza Hut, aveva due file: una in rubli e l’altra in valuta e la sala era pure divisa secondo la moneta di pagamento. Erano queste alcune delle contraddizioni di un grande Paese in subbuglio. Il Comitato centrale andava a raccogliere carote per riempire i negozi ed il governo aveva mobilitato ventimila soldati e si disse, a quel tempo, che c’era il “complotto delle patate”. Cosa ci facevano quelle truppe attorno alla capitale? C’era bisogno di chiamare persino i paracadutisti? Gli stivali dei militari nel fango delle campagne nascondevano ben altro? Era assodato che la destra del Pcus, gli apparati militari, mal digerivano il “cedimento alle forze imperialiste”. La vicenda tedesca, il ritiro delle truppe, il caos economico, una preoccupante “rivolta” dei manager dell’industria, lo sciopero estivo dei minatori negli impianti siberiani (“Sono manovrati”, commentò Gorbaciov), tutto contribuiva a creare una situazione di estrema incertezza.

Quando, poi, a fine anno si svolse il Congresso dei deputati del popolo, che sarebbe stato l’ultimo della storia, fu chiaro che lo scontro nel partito e nel Paese non era destinato a placarsi. Gorbaciov faticò a vincere. Prevalse dopo giorni drammatici segnati dalle clamorose dimissioni del ministro degli esteri, Eduard Shevardnadze il quale, nell’immenso salone del palazzo dei Congressi del Cremlino di fronte a migliaia di delegati, letteralmente gridò: “Attenzione, arriva la dittatura”.

L’abbandono di Shevardnadze

L’abbandono di Shevardnadze, uno degli uomini della perestrojka, fu una bomba ed anche il segnale che la battaglia interna si era fatta furibonda. E la discussione, lo scambio di informazioni tra la gente aveva iniziato ad uscire dal chiuso delle cucine. La cucina di casa è sempre stata il luogo dove scambiare le proprie idee, a bassa voce e con la radio accesa, per non farsi sentire dai vicini o da qualche confidente del Kgb. Il famoso scrittore e poeta Osip Mandelshtam scriveva: “Stiamocene un po’ in cucina, l’aria è dolce di bianco cherosene, un coltello tagliente e una pagnotta…”. Con cautela, non si può mai sapere, ritornava il coraggio. I discorsi da cucina, i “kukhonnye razgovory” sul destino dell’Urss si moltiplicarono. Il 1991 prese l’avvio con una battaglia frontale di Eltsin che annunziava il taglio delle risorse finanziarie della Russia all’Unione. Passarono le settimane ed i mesi. Sempre sul filo. L’economia a pezzi (Gorbaciov andò al G7 di Londra e sulla richiesta di aiuti gli risposero picche), i moti di indipendenza delle tre repubbliche baltiche, i morti di Vilnius. E non c’era giorno che non risuonasse l’allarme: il golpe è alle porte. L’ala reazionaria del partito aveva pure tentato di chiedere le dimissioni di Gorbaciov da presidente. Nelle redazioni dei giornali esteri il tam tam si faceva sempre più intenso ma nulla di eclatante accadeva. Eppure i media occidentali avevano rafforzato la loro presenza. A Mosca, per l’Unità, vennero a lavorare, fianco a fianco, Marcello Villari e successivamente Jolanda Bufalini. Da un po’ ci aveva lasciato Giulietto Chiesa, corrispondente dal 1980: era andato a fare un master di un anno negli Usa e poi era passato a La Stampa.

“Vogliono fare fuori Gorbaciov”

Fu così che si arrivò in piena estate. Ormai si era fatta l’abitudine agli allarmi e alle smentite. Un balletto infinito. Eppure ne succedevano di cose. Fa impressione rileggere a distanza di 33 anni la corrispondenza di Jolanda pubblicata su l’Unità di domenica 18 agosto. Alexandr Jakovlev, un altro degli artefici della perestrojka, intellettuale raffinato e braccio destro di Gorbaciov, era stato espulso tre giorni prima dal partito, dalla cellula interna presso il Comitato centrale. Jakovlev fu profetico. Disse in un’intervista al “Moskovsky Komsomolets: “Si sta preparando il gran finale. Vogliono processare Gorbaciov. Non so se il presidente se ne renda conto ma vogliono farlo fuori al prossimo congresso del partito”. E così venne l’alba del giorno dopo. Il golpe arrivò davvero. Jakovlev aveva ragione.

Nel clima di incertezza, nella redazione di Mosca si era deciso di darci il cambio per le ferie estive. Tornai in Italia per primo. Il golpe mi sorprese in Sicilia. Alle 7 del mattino del 19 agosto il caposervizio esteri del giornale, Nuccio Ciconte, mi telefonò: “Accendi la tv, c’è il colpo di Stato e Gorbaciov è prigioniero”. Mi sentii come il mitico Demetrio Volcic, giornalista sopraffino che era anch’egli corrispondente Rai da Mosca il quale scrisse in un libro d’essere “esperto di scoop mancati”. E, dunque, c’era il golpe in corso. Scrissi velocemente un commento per l’edizione straordinaria e decisi di ripartire subito. Mi devo permettere una digressione. Mi trovavo in vacanza, sulla costa tra Messina e Catania, insieme alla mia famiglia. C’era anche mio padre quasi ottantenne. Un comunista, un sindacalista. Da ufficiale dell’esercito, nel 1939 era stato spedito sul fronte di guerra ed era poi finito con l’Armir nella campagna di Russia. Sino alle rive del Don. Comandava un piccolo drappello. Si ritrovarono nella drammatica ritirata sotto i colpi dei sovietici. Come non so, mio padre riuscì a rientrare in Italia, presumo attraverso il confine jugoslavo. Doveva decidere da che parte stare. Si diede alla macchia per non finire sotto i repubblichini di Salò. Riparò in Toscana, dalle parti di Poggibonsi, insieme al suo attendente. Li cercavano fascisti e tedeschi. Raccontò che erano stati salvati da una contessa che li aveva nascosti durante un rastrellamento. Riuscì a tornare, con quali mezzi per me un mistero, nel Sud già liberato e si iscrisse al Partito comunista. Era avvocato ma scelse la via, difficile, del funzionario politico, nel partito e alla Camera del Lavoro. Andai a salutarlo: “Devo scappare, c’è un golpe a Mosca”. Mi rispose: “Ho capito, non ci rivedremo più”. Mio padre morì, d’un colpo, nove giorni dopo e lo seppi a Mosca mentre scrivevo, in quei giorni convulsi, il mio pezzo sul Soviet supremo che cercava di rimettere ordine dopo i tre giorni del fallito golpe liquidando tutto il governo fatto di traditori o di incapaci.

L’edificio del Comitato Centrale del Pcus era il cuore del potere sovietico, la casa del Politburo. Dove c’era l’ufficio del segretario generale e tutto l’apparato del partito. Leonid e Anatoly, quelli delle carote, lavoravano lì dentro, nella sezione esteri del potente Boris Ponomariov e di Vadim Zagladin, un altro attivo frequentatore dell’Italia. Il colpo di Stato aveva colto Gorbaciov in vacanza con Raissa e i familiari a Foros in Crimea. Il Comitato dei congiurati guidati dal vicepresidente Ghennady Janaev che il mattino del 19 agosto si presentò alla stampa internazionale avvolto dai fumi dell’alcol, aveva dichiarato malato Gorbaciov. I carri armati erano già per le strade di Mosca dall’alba. Boris Eltsin fiutò il momento e saltò sopra un mezzo davanti al parlamento della Russia. Immagini passate alla storia. Furono tre giorni di tregenda. Con migliaia di moscoviti per le strade attorno alla “casa bianca” sul Kutuzovsky Prospekt. Il 21 agosto i carri armati travolsero e uccisero tre giovani. Che diventarono gli eroi della vittoria contro i golpisti. Il colpo di mano finì perché le forze armate non li seguirono. La loro fine ingloriosa iniziò un processo inarrestabile che sancì non solo la fine del Pcus ma anche la veloce dissoluzione dell’Urss come nazione unita e compatta.

Il 23 agosto 1991 il Pcus termina la sua vita e il 25 dicembre viene ammainata la bandiera rossa

Il Pcus terminò la sua vita il 23 agosto. Era un pomeriggio. Mi misi a seguire un’auto con l’altoparlante che nel centro di Mosca invitava ad “andare a chiudere la sede del Pcus”. Con la mia “Zhigulì” mi accodai. L’auto passò davanti al teatro Bolshoi, poi proseguì sino a piazza Dherzhinsky dove la statua del fondatore del Kgb era stata già abbattuta nella notte, la testa di marmo era scivolata sul selciato. La svolta a destra all’altezza del palazzo del “Diesky Mir”, il grande negozio di giocattoli per bambini e infine il viale che porta alla Piazza Vecchia. Eccolo il palazzo del Pcus. Circondato da una folla vociante che mai ti saresti aspettato: “Fuori i banditi”! Da strabuzzare gli occhi e sturarsi le orecchie. Una Caporetto. Il glorioso partito comunista dell’Unione Sovietica era sotto assedio ed i suoi funzionari uscivano dal portone di servizio con le sporte di plastica piene degli effetti personali e inseguiti dai boati di almeno tremila persone. Uscivano e venivano perquisiti perché si fosse certi che non nascondessero documenti riservati da eliminare. Fu lì che mi accorsi, a di Leonid Popov che, a pochi metri di distanza, assisteva alla drammatica scena. Lui era già fuori e guardava i suoi colleghi passare sotto le forche caudine dei moscoviti, senza pietà. Anche per lui la storia finiva lì. A dicembre sarebbe stato archiviato per sempre il suo Paese. Gorbaciov la notte di Natale avrebbe pronunciato l’ultimo discorso in tv con la firma delle sue irrevocabili dimissioni da presidente. E la bandiera con la falce e martello in cima alla cupola del Cremlino veniva ammainata alle nove della sera sotto un fitto nevischio.

In agosto il Pcus era stato cancellato con un decreto. Milioni di iscritti da un giorno all’altro erano svaniti. Sul portone della Piazza Vecchia resisterà per giorni un foglietto affisso con le puntine che avvertiva: “Edificio posto sotto sequestro dal Comune di Mosca”. Quella notte ci andai con Luigi Colajanni che dal parlamento europeo di Bruxelles si era precipitato a Mosca, forando senza visto i controlli di frontiera, per consegnare una lettera di Achille Occhetto a Gorbaciov rientrato dalla prigionia temporanea di Foros. Ci riuscì al termine della conferenza stampa nella sede della stampa internazionale. Qualche giorno dopo feci un lungo giro in auto. Mi aveva sempre colpito una grande scritta al centro del Leninsky Prospekt: “Cccp oplot mira”. L’Urss baluardo della pace. Andai per lo “Chaussée Entusiastov”, un’arteria che partiva dalla stazione Kievskaja e si univa alla Komunisticheskaja. Strade simbolo. A pochi passi avevano aperto un supermercato finlandese, uno dei primi. Mi infilai per vicoli sconnessi, tra le casette a tre piani del quartiere operaio della fabbrica “Zil”, le famose “Krusciovke”, dal piano generale di edilizia popolare lanciato nel ’60 da Nikita Krusciov. Leonardo mi aspettava nel cortile, seduto sulla panchina in compagnia della seconda moglie, Liudmilla.

La storia del comunista Leonardo Damiano, finito in un gulag e salvato dalla cicoria

Leonardo Damiano era un italiano, un pugliese di Canosa. E cosa ci faceva a Mosca, in quell’alloggio di una sola stanza (con balconcino), un cucinotto e un bagno? La sua vita, un romanzo. Era del 1911, il padre era un contadino e dovette scappare, inseguito dalle guardie del Regno, perché accusato di aver dato l’assalto al municipio in anni prefascisti dopo la prima guerra mondiale. La fame si tagliava a fette. S’imbarcò sul piroscafo a Napoli e sbarcò a New York, passando per Ellis Island, il centro di raccolta degli immigrati. Dopo qualche anno disse alla famiglia di raggiungerlo in America. In Italia, Mussolini era al potere. Leonardo partì con la madre e due sorelle. Il padre li accolse sul molo con tre banane, frutto sconosciuto. Il giovanissimo Leo finì a lavorare nei cantieri edili: portava l’acqua arrampicandosi sulle impalcature. Vita dura per qualche cent. Si iscrisse alla gioventù comunista americana, diventò leader nelle lotte sindacali a Boston, la città che condannò alla sedia elettrica Sacco e Vanzetti. Finì più volte in carcere, spesso liberato con la cauzione pagata dal sindacato. Si sposò con una militante americana, Lucy. Ebbero un figlio. Leonardo continuò il suo impegno politico e dopo aver accumulato tante condanne subì la punizione più pesante: l’espulsione dagli Usa. Dove andare, quale nazione scegliere? In Italia sarebbe finito, lui comunista, nelle mani dei fascisti. Decise: si va in Unione sovietica. Viaggio in nave, passando per Londra. Sbarcò nel porto di Leningrado: “Finalmente nel socialismo”. Si unì a tutti gli altri comunisti stranieri che avevano trovato riparo dalle persecuzioni fasciste e naziste.

Il giovane comunista Leonardo subì, come tutti, la repressione staliniana. La diffidenza per gli stranieri, a ridosso degli anni ’40, non risparmiava i comunisti. Finì in Siberia, in un campo di lavoro. Faceva il gruista, anche a 30 sotto zero. Poi i dirigenti del campo capirono che sapeva l’inglese e lo chiamarono negli uffici a tradurre i documenti dei macchinari d’importazione. Stava al caldo, almeno. Il cibo era scarso. Nella buona stagione andava a raccogliere cicoria. Ne mangiava in grandi quantità. Forse salvò la vita anche per questo. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, arrivarono i tempi del sollievo, con il rapporto segreto di Krusciov sui crimini dello stalinismo. Ma Leonardo, nel frattempo era diventato “sovietico”. Niente più passaporto americano, niente documenti italiani. Era cittadino dell’Urss a tutti gli effetti. Dunque prigioniero nel paese. Riuscì ad arrivare a Mosca e fu assunto come capo squadra nella fabbrica automobilistica. Era ancora un uomo di mezza età e provò a tornare in Italia. Come fare? Un giorno arrivò Palmiro Togliatti in visita nell’impianto. Leonardo si piazzò in cima ad una scala e al passaggio gridò: “compagno Togliatti”! Si parlarono e il segretario del Pci gli disse: “Vai da Germanetto, al Lux”. Germanetto era il dirigente italiano ospite fisso nel famoso albergo sulla Gorky. Leonardo andò ma non ne ricavò nulla. La sua fede comunista non fu, nonostante tutto, intaccata. Ci credeva ancora. Comunista italiano, cacciato dal capitalismo Usa e prigioniero del socialismo sovietico.
Leonardo aprì la porta al primo piano. Sedemmo sul divano letto. Un bel sole riscaldava la casetta. Sulla mensola del balcone i vasi di pomodoro e di basilico che coltivava e conservava per l’inverno. Sotto il divano decine di barattoli pieni di cicoria. La raccoglieva andando con il treno fuori Mosca. Le riserve di verdura per i mesi gelidi. “La cicoria mi ha salvato la vita”, ha ricordato. Sul tavolo le copie de l’Unità che gli facevo arrivare per posta grazie all’amministrazione del giornale. Era l’ultimo legame con il suo mondo. Che stava finendo proprio in quel momento. Gli crollava addosso proprio tutto. Me ne andai turbato: mio padre sul Don, io corrispondente in Urss del giornale comunista, mio padre dirigente sindacale, la fine del Pcus e dell’Urss, mio padre che muore mentre sto a Mosca, il comunista Leonardo scacciato da tutti. Mi girava la testa.


Screenshot, click to enlarge, spero sia leggibile; per comodità di lettura, sopra il testo trascritto.

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Due artcoli del Sergi, dall'Unità del 16 maggio 1993 e risp. del 16 luglio 1994, su Leonardo Damiani /bundles/jushome/jus/imgta/page_012_1993.jpg


martedì 9 agosto 2022 (revisione: 31 ottobre 2022 12:48:40)

Ambasciata USA vs. PCI, 1975-1979

I documenti di Wikileaks: le comunicazioni da Roma a Washington su il PCI negli anni della solidarietà nazionale e del compromesso storico

 

Free Assange Now!

Tra gli innumerevoli documenti resi noti da Assange e Wikileaks, se ne trovano numerosi rilevanti per la storia italiana recente, e in particolare per i temi di interesse di questo blog. I documenti sono noti da ormai diversi anni (le rivelazioni di Wikileaks furono tra il 2006 e il 2013). In genere i documenti messi on-line da Wikileaks sono considerati non contraffatti, e io pure assumo che non lo siano, pur evidentemente non avendo alcun modo di controllare.

Lanciando il motore di ricerca del sito web di Wikileaks con i nomi dei dirigenti del PCI degli anni '70  del secolo scorso ('Pecchioli', 'Pajetta', 'Rubbi', 'Barca', ecc.), si ritrovano diverse decine di documenti, in particolare per gli anni 1974-1980. Per comodità ne ho collezionati una selezione in questo post.

(Il sito di Wikileaks non sempre performa ottimamente. I file .pdf qui raccolti sono stati prodotti con il comando print di un browser, ovvero sono la 'stampa' della pagina web Wikileaks che presenta il documento, e quindi mostrano anche le informazioni relative alla presentazione del documento da parte di Wikileaks. Per quanto capisco, gli originali recuperati da Wikileaks erano già in formato digitale, non cartaceo).

Nel contenuto i documenti che ho consultato sono tutti plausibili. Non vi si trovano particolari rivelazioni, ma -nell'insieme- sono assai utile per ricostruire un clima e il tipo di relazioni tra alcuni protagonisti di quella stagione. Ho evidenziato alcuni passi che mi sono sembrati significativi.

Ricordo che John A. Volpe (8 dicembre 1908 – 11 novembre 1994) fu Ambasciatore USA in Italia dal 6 marzo 1973 al 24 gennaio 1977, e successivamente, dal 21 marzo 1977 al 27 febbraio 1981, lo fu Richard N. Gardner (9 luglio 1927 –  16 febbraio 2019). Il primo era stato nominato da Nixon, il secondo da Carter. EMBOFF = Embassy officlal.

Su la campagna per la libertà di Assange e contro la sua  estradizione negli USA vedi Amnesty, e Somersetbean.

  • Cable_1974ROME16077_b
    18 novembre 1974. Commenti su un intervento di Pecchioli contro un memorandum dell'Ambasciatore italiano a Lisbona sulla situazione portoghese.
  • Cable_1975NATO00035_b
    7 gennaio 1975. Resoconto di informazioni su un incontro, a Budapest, il 19-21 Dicembre, tra delegazioni comuniste, preparatorio della conferenza dei Partiti comunisti europei (quella che si terrà a Berlino Est il 29-30 giungo 1976, vedi wikipedia).
  • Cable_1975ROME13266_b
    15 settembre 1975. Resoconto di confidenze ricevute da un membro della delegazione PCI su sviluppi della preparazione della conferenza dei Partiti comunisti europei. Nota l'asserita convergenza posizioni italiane e yugoslave, con menzione visita di Pajetta a Belgrado del 30 agosto.
  • Cable_1975ROME14544_b
    8 ottobre 1975. Breve comunicazione circa la partenza di Pajetta per un incontro, l'8 e 9 ottobre, a Berlino Est, preparatorio della conferenza dei Partiti comunisti europei.
  • Cable_1975MOSCOW15778_b
    3 novembre 1975. Raccolta di confidenze del gionalista Paolo Galimberti sulla complessa redazione del documento preparatorio della conferenza dei Partiti comunisti europei
  • Cable_1975ROME11741_b
    14 agosto 1975. Commenti, a firma Volpe, su un incontro tra delegazioni PCI e PCUS in Mosca e comunicato finale su détente e situazione portoghese, con toni scettici sul'autonomia del PCI da Mosca
  • Cable_1975ROME11968_b
    20 agosto 1975. Commenti su varie speculazioni presenti in due articoli della stampa italiana, uno de L'Espresso su i rapporti USA-PCI e possibili loro sviluppi, e rispettivamente uno de Il Settimanale su i rapporti URSS-PCI e loro problematiche. Interessanti sia le sintesi degli articoli sia il commento, a firma Volpe.
  • Cable_1976ROME01560_b
    29 gennaio 1976. Commenti, a firma Volpe, su reazione dei comunisti italiani a  un articolo della Pravda a firma Korionov, in genere considerato contro politiche PCI. Significative le considerazioni scettiche dii Volpe: 'THE PCI CONTINUES TO BUILD A PHONY REPUTATION FOR OPEN DEFIANCE OF THE USSR'.
  • Cable_1976ROME02690_b
    19 febbraio 1976. Comunicazione sulla notizia della probabile partecipazione di Berlinguer al 25 congresso del PCUS a Mosca, e su relativi commenti di Pajetta.
  • Cable_1976STATE045328_b
    25 febbraio 1976. Comunicato per tutti i diplomatici USA in Europa,  a firma - mi sembra, da controllare meglio - Kissinger, con allerta anti-PCI:

    '2. IT'S GETTING PRETTY OLD HAT THESE DAYS TO SAY ANYTHING
    MEAN ABOUT THE ITALIAN COMMUNISTS, WHOSE IMAGE ABROAD --
    ESPECIALLY COMPARED TO THE RULING CHRISTIAN DEMOCRATS' --
    IS BEGINNING TO LOOK MADLY ATTRACTIVE. NEVERTHELESS THEIR
    CHARMS CERTAINLY NEED CLOSER INSPECTION BEFORE WE ALL GIVE
    OUR BLESSING TO THE EMBATTLED CHRISTIAN DEMOCRATS HERE FOR
    THE SHOTGUN WEDDING THAT MAY BE ONLY A MATTER OF MONTHS
    AWAY. FOR THE MOMENT THEY HAVE MANAGED TO PASTE TOGETHER
    A MINORITY GOVERNMENT, BUT IT DOES NOT HAVE THE LOOK OF A VERY DURABLE ARRANGEMENT. THEN WHAT?

    3. IT IS POINTLESS TO ASK HOW SINCERELY ITALY'S COMMUNIST
    LEADERS ARE COMMITTED BY NOW TO WESTERN-STYLE DEMOCRACY:
    THERE IS NO SUCH THING AS A SINCEROMETER, LENIN ONCE SAID.
    BUT THEY THEMSELVES HAVE REVEALED A GOOD DEAL MORE THAN THE
    INTERNATIONAL PRESS HAS TENDED TO REPORT LATELY ABOUT JUST
    WHAT THEY MAY OR MAY NOT HAVE IN MIND, WHEN AND IF THEY
    JOIN THE GOVERNMENT.

    4. NATURALLY THEY DON'T ALL THINK ALIKE. ONLY THE OTHER
    DAY, FOR INSTANCE, THEIR MOST DISTINGUISHED CATHOLIC
    INTELLECTUAL FRANCO RODANO CAME OUT WITH A BOOK EULOGIZING
    THE LATE STALIN'S RULE AS "CAESARIAN DEMOCRACY." NOTHING
    COULD BE FURTHER FROM THE THOUGHTS, SAY, OF THE PARTY'S
    "WESTERN-POLE" CULTURAL STAR GIORGIO NAPOLITANO, THOUGH
    EVEN HE RECENTLY CONFESSED HIS PERPLEXITIES ABOUT HOW TO
    "DEVELOP SOCIALISM WITHIN A DEMOCRACY" TAKING INTO ACCOUNT
    THE "SPECIFICITY OF THE SOVIET EXPERIMENT." '

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    21 ottobre 1976. Commenti sul CC del PCI. Note su posizioni di Berlinguer, Longo e Amendola.
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    2 novembre 1976. Resoconto incontro con Segre, su varie problematiche politiche del PCI.
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    10 novembre 1976. Varie brevi in preparazione visita Sen. Ted Kennedy a Roma. Incontri con Andreotti, FAO e World Food Council, pranzo da Agnelli (con lista invitati suggerita da Furio Colombo).
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    16 novembre 1976. Relazione su visita a Roma del Sen. Ted Kennedy e suo cauto atteggiamento verso comunisti. Commenti sul tentativo fallito di Napolitano di essere invitato in un qualche incontro, e note suilla cautela adottata circa la partecipazione di Segre a un evento con varie personalità.
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    3 dicembre 1976. Nota su partecipazione Pecchioli e Boldrini alla commissione Difesa del Parlamento europeo.
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    8 dicembre 1976. Resconto conversazione con dirigente PCI su situazione politica e alcune questioni interne al PCI, per esempio posizioni divergenti con Lama. Interessante che sia presente il resoconto su le vacanze sovietiche di alcuni dirigenti: 'THE SOVIET VACATION SCENE. SOURCE SAID THAT HE HAD SPENT HIS SUMMER VACATION AT A SPA IN THE USSR. OTHER PCI LEADERS IN THE USSR AT THE SAME TIME HE SAID WERE COSSUTA (A TOUR OF SIBERIA) AND PECCHIOLI (MOUNTAIN CLIMBING IN ARMENIA).
    ALL THREE SPENT A DAY OR SO IN MOSCOW PRIOR TO THEIR RETURN TO ITALY. WHILE THERE THEY MET WITH ZAGLADIN OF THE SOVIET PARTY'S INTERNATIONAL SECTION. WHILE NOTHING OF SUBSTANCE CAME FROM THE TALKS, THE ITALIANS FELT THAT ZAGLADIN'S ATTI-TUDE WAS FRIENDLIER ON HIS HOME TURF THAN WHEN HE MET SOME MONTHS BACK WITH PCI OFFICIALS IN ITALY'.
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    31 maggio 1977. Riassunto, a firma Gardner, di una intervista sulla stampa italiana a Pecchioli. In particolare: 'IN THE COURSE OF THE INTERVIEW, PECCHIOLI ALSO SUGGESTED THE INVOLVEMENT OF WEST GERMAN AND AMERICAN INTELLIGENCE SERVICES IN THE CURRENT TERRORISM. HE SAID: BEGIN QUOTE IN THE PRESENT PHASE, I BELIEVE THAT THE GERMAN (INTELLIGENCE) SERVICES ARE FAR FROM BEING ABSENT. THE PENTAGON-CARTER CONTROVERSY (SIC) INDICATES THE PROBABILITY THAT EVEN SOME FRINGE OF THE AMERICAN (INTELLIGENCE) SERVICES ARE OPERATING ON OUR TERRITORY, PERHAPS DEVIATING FROM THE DIRECTIONS RECEIVED FROM THE NEW AMBASSDADOR. END QUOTE'.
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    17 giugno 1977. Relazione incontro di un funzionario d'ambasciata  con Luciano Barca, con vari commenti situazione politica e possibile rimpasto governativo. Nota commento funzionario che `WE ARE SEEKING TO AVOID STIMULATING UNWARRANTED MEDIA SPECULATION ABOUT CHANGES IN OUR POLICY TOWARD THE PCI WHICH IN FACT HAVE NOT OCCURRED'.
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    27 giugno 1977. Nota su prossimo viaggio a Mosca di una delegazione PCI di alto livello (Pajetta, Bufalini, Macaluso).
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    28 luglio 1977. MOLTO INTERESSANTE. Lungo resoconto di una conversazione con Pajetta: 'EMBOFF MET WITH ITALIAN COMMUNIST PARTY (PCI) SECRETARIAT MEMBER GIANCARLO PAJETTA IN LOCAL RESTAURANT JULY 22 FOR FIRST CONTACT AT THIS LEVEL OF THE PARTY. PAJETTA MADE A PITCH FOR GREATER AMERICAN PRAGMATISM IN TERMS OF RECOGNIZING THE ROLE OF THE PCI IN CONTEMPORARY ITALIAN POLITICAL LIFE'.
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    4 agosto 1977. Come precedente.
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    21 novembre 1977. Resoconto  su proposta Pecchioli di formare 'CITIZENS' COMMITTEES' per aiutare le forze di polizia contro il dilagare violenza politica, con commenti negativi.
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    22 novembre 1977. Resoconto consultazioni con una varietà di contatti ritenuti avere 'A SIGNIFICANT PROFESSIONAL JUDGEMENT OF THE SECURITY SITUATION' nel Nord Italia, con commenti sulle ragioni del diffondersi della violenza politica in Italia.
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    13 dicembre 1977. Resoconto conversazione con magistrato italiano Piero Paiardi, 'NEW CHIEF JUSTICE OF MILAN'S COURT',  su diffusione violenza politica, Brigate Rosse, inopportunità di partecipazione al governo italiano del PCI.
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    26 novembre 1977. Nota su viaggio in Somalia di Pajetta. Contiene giudizi piuttosto netti su i rapporti tra Pajetta e il PCUS: '[HE] IS KNOWN AS "MOSCOW'S MAN"'.
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    28 novembre 1977. Resoconto, piuttosto malevolo, del sostegno a Mengistu in Etiopia, con commenti piuttosto negativi su Pajetta:

    'SUMMARY. ITALIAN COMMUNIST PARTY, AFTER A LONG PERIOD OF WAIT AND SEE, IS COMING OUT IN FAVOR OF ETHIOPIA OVER SOMALIA.  THIS FOLLOWS THE VISIT OF OLD STALINIST GIANCARLO PAJETTA. PAJETTA FOUND ONLY MENGISTU TO BE A REAL LEADER AND WILL RE-PORT COMMUNISM'S CHANCES IN ETHIOPIA ARE BEST SERVED BY SUP-PORT OF CONTINUED MILITARY DICTATORSHIP RATHER THAN INTRO-DUCTION OF PARTY RULE WITH A CIVILIAN BASE. PAJETTA IS CON-VINCED NOW THAT MENGISTU WILL NOT CONSIDER ANY NEGOTIATIONS WITH SOMALIA BEFORE ETHIOPIAN TERRITORY IS RID OF THE INVAD-ERS. CURRENT VIOLENCE IN ETHIOPIA AMONG MARXIST-LENINISTS IS REGRETABLE BUT UNDERSTANDABLE, ACCORDING TO THE ITALIAN COM-MUNIST. ITALIAN COMMUNIST SUPPORT FOR ERITREAN INDEPENDENCE WILL DISAPPEAR IN FAVOR OF A NEGOTIATED SOLUTION. END SUMMARY. CONFIDENTIAL'
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    30 novembre 1977. Nota su richiesta visti per partecipanti a seminario CENSIS a New York.
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    6 dicembre 1977. Nota, a firma Gadner e tono sopreso, su critica sovietica a posizione PCI su dispiegamento bombe ai neutroni.
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    8 dicembre 1977. Commenti su visita di una delegazione somala in Italia. Ultimo parte contiene commenti su posizione PCI su questioni Corno d'Africa e relative difficoltà.
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    19 dicembre 1977. Riassunto e commenti, a firma di Gadner, su intervista, del giornalista Scardocchia, per il Corriere della Sera, a Pecchioli, circa posizioni PCI su NATO, disarmo, sicurezza, ecc.: 'COMMENT: THOUGH PRESSED HARD BY SCARDOCCHIA, PECCHILI MANAGED TO LIMIT MOST OF HIS RESPONSES TO VAGUE GENERALITIES. THE LOGIC OF HIS ANSERS WAS OFTEN FLAWED, AND HE DROPPED AN OCCASIONAL NON/SEQUITUR, FACTORS WHICH THE AVERAGE ITALIAN READER COULD EASILYHAVE MISSED'.
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    22 dicembre 1977. Resoconto di conversazione con Craxi. (Si noti la varietà di paure espresse da Craxi).
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    16 gennaio 1978. Nota su reazioni italiane a dichiarazione Dipartimento di Stato,  del precedente 12 gennaio, su situaziona italiana.
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    17 gennaio 1978. Breve nota su un seminario (pubblico) del PCI sulla storia dell'URSS.
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    16 marzo 1978. Essenziale nota su rapimento Moro: 'LAST REPORTS PROVIDE FOLLOWING INFORMATION: THAT MOROWAS KIDNAPPED HAS BEEN CONFIRMED. THE BRIGATE ROSSE
    HAVE CLAIMED THE CREDIT FOR THE KIDNAPPING. THE KIDNAPPERS USED A CAR WITH DIPLOMATIC PLATES STOLEN FROM THE VENEZUELAN EMBASSY AND APPEARED IN AIR FORCE UNIFORMS. OF MORO'S FIVE POLICE ESCORTS, FOUR ARE DEAD AND A FIFTH IS NOT EXPECTED TO LIVE. THE CABINET IS IN EMERGENCY SESSION AT THIS TIME.
    EFFORTS ARE UNDERWAY TO HAVE THE NEW ANDREOTTI GOVERNMENT CONFIRMED IN BOTH HOUSES BEFORE THE END OF THE DAY. IN PROTEST, THE THREE LARGE LABOR UNIONS HAVE CALLED A GENERAL STRIKE (EXCEPT FOR ESSENTIAL SERVICES) FROM 11 AM TO MIDNIGHT TODAY. THE SAME UNIONS ARE CALLING FOR A LARGE PUBLIC DEMONSTRATION OF INDIGNATION IN ROME AT 1730 TODAY.'.
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    27 marzo 1978. Breve nota su secondo comunicato BR, durante rapimento Moro.
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    6 aprile 1978. Resoconto raccolta opinioni effetti politici rapimento Moro.
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    6 aprile 1978. Resoconto incontro con giornalisti Di Bella, Barbiellini Amidei e Valiani, del Corriere della Sera, su situazione determinata dal rapimento Moro, e loro pressioni affinché l'Ambasciata USA sostenga la linea della fermezza.
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    30 marzo 1978. Nota su terzo comunicato BR e su lettera di Moro con ipotesi di scambio di prigionieri.
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    2 maggio 1978. Resoconto incontro e telefonata con Luciano Barca, su rapimento Moro, censura da parte del PCI di dichiarazioni su possibile coinvolgimento USA, motivi linea della fermezza, effetti nelle relazioni PCI-DC, necessità lotta alle BR anche in ambienti vicini al PCI, e commenti contro Carniti.
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    23 maggio 1978. Commenti, a firma Gardner, di un incontro Pajetta e Rubbi con delegazione Fronte di liberazione eritreo, con speculazioni su rapporti PCI con cubani e sovietici al riguardo situazione eritrea.
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    6 giugno 1978. Commenti a una intervista del corrispondente dell'Unità a New York, a Pajetta, in occasione della presenza di questi a una sessione della Assemblea Generale dell'ONU sul disarmo. 
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    7 giugno 1978. Sintesi e commenti a intervista sul L'Espresso a Pajetta.
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    28 giugno 1978. Commenti, a firma Gardner, su un incontro di Pajetta con Soto (PC cubano), con speculazioni su loro possibili dissidi circa situazione africana, in particolare eritrea.
  • Cable_1978ROME18561_d
    29 settembre 1978. Resoconto, a firma Gardner, primo incontro di un addetto Ambasciata USA con Rubbi, quale nuovo responabile esteri del PCI.
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    13 novembre 1978. Breve nota su un seminario del PCI su le forze armate italiane.
  • Cable_1979STOCKH00434_e
    29 gennaio 1979. Resoconto informazioni su visita di Pajetta in Svezia del 17-21 gennaio, con incontri esponenti socialdemocratici.
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    9 giugno 1979. Resoconto conversazione con Reichlin su relazioni estere PCI: 'EMBOFF NOTED NEW ROUND OF SPECULATION IN THE ITALIAN MEDIA, PARTIALLY FUELED BY PAJETTA'S ACTIVITIES IN NEW YORK, SUGGESTING A CHANGED AMERICAN ATTITUDE TOWARDS THE PCI. GIVEN THE FACT THAT THIS SPECULATION IS TOTALLY UNFOUNDED, HE OBSERVED THAT ITS CONTINUATION MIGHT CREATE THE NEED FOR US TO SET THE RECORD STRAIGHT ONCE AGAIN'.
  • Cable_1979TURIN00215_e
    11 giugno 1979. Resoconto risultati elezioni, con commenti su numero voti di preferenza ottenuti da eletti.
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    9 agosto 1979. Nota su opposizione manifestata da PCI al posizionamento in Itala di missili Pershing e Cruise.
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    13 agosto 1979. Resoconto, a firma Gardner, incontro con Rubbi: 'TOUCHING LIGHTLY ON A VARIETY OF SUBJECTS'). Vedi commento finale non particolarmente benevolo su Rubbi: 'COMMENT: WHILE RUBBI'S GRASP OF INTERNATIONAL ISSUES SEEMS LESS SURE THAN THAT OF SEGRE, HE CLEARLY IS MUCH MORE PLUGGED INTO INTERNAL PARTY MATTERS. THE EX-FARM LABORER ORGANIZER, WHO STUDIED IN MOSCOW, IS A FAR DIFFERENT TYPE
    FROM HIS PREDECESSOR; HE IS PARTY FUNCTIONARY FIRST AND DIPLOMAT SECOND'. Sono presenti anche informazioni su 'VACATION PLANS OF PCI LEADERS', piani di vacanza in URSS.
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    16 agosto 1979. Nota su nomine interne del PCI di fedeli berlingueriani.
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    31 agosto 1979. Profilo politico di Cossiga, con commenti su presunte sue opinioni su una varietà di questioni.
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    12 dicembre 1979. Resoconto conversazione con Luciano Barca su situazione politica italiana, posizioni di Amendola, governo Cossiga, ecc..