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Note di biografia gramsciana,
e sulle vittime italiane delle epurazioni staliniane

Blog Storia PCI
lunedì 18 gennaio 2021
(revisione: 23 gennaio 2021 12:51:21)

"Il comunismo italiano nella storia del novecento". Un convegno.

Un convegno della Fondazione Istituto Gramsci, 12-14 novembre 2020




In genere, ognuno studia i suoi: la biografia di un personalità cattolica è scritta spesso da un cattolico (così mi sembra la bibliografia su Paolo VI); Spriano scrisse la sua Storia del PCI in quanto storico (quasi) ufficiale del PCI; la Rivista storica dell'anarchismo è stata una iniziativa di un certo valore realizzata da simpatizzanti, più o meno militanti, dell'anarchismo; Rosario Romeo credo si possa dire scrisse la biografia di Cavour da liberale (nel senso del partito); e così anche per molta o tutta la storiografia del socialismo italiano, per quella su le minoranza religiose italiane, e credo anche per la storia militare, la massoneria, la storia sindacale,  ecc., ecc..

Per la storia politica, più o meno recente, è sempre così? Forse no: la monumentale biografia di Mussolini di De Felice non può essere considerata di parte fascista, nemmeno dai più critici, ma potrebbe essere l'eccezione che conferma la regola stante la particolarità del soggetto, e il principio del cuius regio, eius historia ha sicuramente ampia validità e reciproco riconoscimento. Non dovrebbe essere così? La storiografia politica dovrebbe essere sempre non di 'parte'? Dovrebbe e potrebbe essere asettica e neutra? E quale potrebbe essere la metodologia per una storiografia neutra rispetto alle posizioni che studia? ('neutralità' sarebbe poi la nozione appropriata?)  Sicuramente non tutta la storiografia 'di parte', quantunque 'di parte', è agiografia, anzi; e vi è sicuramente un elemento di onestà nell'occuparsi della storia dei propria parte, nessuno pretende (e pretenda) di scrivere libero dalla parzialità di una posizione ideale/ideologica.  Al peggio la storiografia (o presunta tale) è solo polemica politica spicciola condotta con altri mezzi, faziosità mascherata da erudizione; ma al meglio la ricerca storica può essere γνῶθι σεαυτόν, esercizio per sapere chi davvero si è, quale il percorso per cui siamo ciò che siamo, e l'autobiografia -il capire la propria storia- potrebbe apparire il genere da privilegiare. E poi quando la storiografia pretende (sempre? può farne a meno?) il ruolo di giudice della storia, di indicare responsabilità e restituire meriti, la dialettica tra imputazione di atti, difesa (o accusa) del proprio (s)oggetto di studio e descrizione 'oggettiva' dello svolgersi della sua vicenda risulta più credibile quando è manifesto da che parte si scrive.

Per quanto scolastici, questi i pensieri che la locandina del convegno della FIG mi suscita. E nello specifico la domanda ovvia è: da che parte parla, da che parte sta, questo gruppo di studio raccolto dalla FIG di Roma? In prima battuta, direi che la parte sia quella del PCI, essendo la FIG il luogo della memoria del PCI (e le bibliografie di alcuni degli oratori lo conferma), ma in seconda battuta non è poi cosi chiaro che cosa ciò, oggi, possa esattamente voler dire e quale parte quella sia, e non solo per il banale motivo che il PCI non c'è più. Una domanda da riprendere in un altro post, che essa mi sembra legittima, giustificata, e necessaria per mettersi nella giusta prospettiva per comprendere i motivi degli studi che in questa tre giorni sono presentati, ma domanda dalla risposta non scontata come potrebbe apparire.

Una nota: per effetto della emergenza pandemica, il convegno si è svolto in video conferenza tra gli oratori, con il risultato (positivo) della immediata disponibilità della registrazione delle video conferenze, oggi visionabili (e scaricabili) dal sito della FIG (credo siano dirette Facebook). Ci vogliono alcune ore libere per rivedere tutti gli interventi, ma ognuno può organizzarsi la visione come meglio crede, e nel complesso il tutto risulta assai comodo.

Qualche osservazione sulla selezione dei temi degli interventi.

Si scrive 'comunismo italiano' e si intende la storia del PCI, e ovviamente uno potrebbe subito obiettare che il comunismo italiano comprese anche personalità esterne alla storia del PCI, o meglio - che la formulazione precisa qui non è immediata- esterne al gruppo (i 'centristi') che prevalse nelle varie dispute interne della prima storia del PCI. Insomma, la prima sessione doveva forse prevedere un intervento dedicato a Bordiga, alle particolarità del suo comunismo, e alla sue riflessioni nel corso del tempo (e forse similmente per  Tasca e gli altri 'destri'). O forse no, che appunto ognuno parli dei suoi, e questa assenza non deve scandalizzare, e non mi scandalizza, anzi la trovo, come dire, rispettosa (anzi se sospetto che sia per ragioni diverse dal rispetto).

(A esser pedanti, un problema assimilabile si pone per i diversi che si sono dichiarati comunisti negli anni del dopoguerra ma si sono formati fuori dal PCI e ne sono sempre rimasti sostanzialmente estranei).


Della prima sessione, che copre gli anni fino alla seconda guerra, mi scandalizza invece l'assenza di un intervento che non doveva mancare. La FIG non si può permettere di non tematizzare il rapporto tra PCI e terrore staliniano. Assenza ingiustificabile, che il tema va discusso non solo per ricapitolare i termini della partecipazione del gruppo togliattiano (che io credo fu piena, solo limitata semmai dalla marginalità degli italiani a Mosca), ma anche per porre nei propri termini la questione, primaria, di quanto la condivisione della giustificabilità della eliminazione fisica dell'opposizione politica e sociale fu elemento costitutivo del gruppo dirigente del PCI, consolidatosi appunto in quella 'prova' e grazie a ciò poi al potere fino a tutti gli anni '70 del secolo scorso. Qui vige ancora la rimozione che fu di tutta la storia del PCI fino alla fine, ed è omissione che appare oggi intollerabile.

Tornando agli esordi, mi sarebbe piaciuto leggere un intervento sul formarsi dell'entusiasmo diffuso per le vicende russe, tra Grande Guerra e successivo dopoguerra. Quale fu la percezione in Italia di quel che stava accadendo in Russia, e se quella percezione anche si modificò, dal 1917 al 1921, e poi fino al 1926, via via che la realtà sovietica si andava fissando secondo certe linee, e di come tutto ciò condizionò il formarsi del PCI.

Per il secondo dopoguerra, sono presenti gli interventi su temi canonici: Resistenza, partito di massa, guerra fredda. Forse in un qualche titolo avrei tematizzato il rapporto tra Italia sconfitta e successo del PCI, e il collocarsi del PCI nella ripartizione dell'Europa in aree di influenza.

(Una mia ipotesi: che il PCI non fu mai vissuto come una anomalia e/o una ambiguità e/o una eccezione nella divisione di Yalta, ma dalle quattro potenze alleate fu sempre inteso essere la versione italiana della Germania dell'Est -zona sovietica nella nazione sconfitta-, ben collocato nella divisione di Yalta, e -in quei precisi limiti- rispettato da i diversi player).

E forse un intervento avrebbe dovuto tematizzare il problema della 'discriminazione', dal 1948 e fino al 1989, e quali partite politiche (le più difficili delle cosidetta prima repubblica?) si siano giocate  intorno alle modalità di gestire (articolare, compensare, superare, affievolire, confermare, ... ) tale discriminazione.

Nel comprendere il garbuglio di vincoli internazionali, collocazione del PCI, presenze militari, ecc., un paio di ricerche più specifiche sarebbero sicuramente utili e un invito a chi,  come diversi degli oratori,  passa molto tempo a ricercar carte negli archivi. Da una parte la storia del significativo Ufficio esteri del PCI, il profilo dei successivi responsabili (Galluzzi, Segre, Rubbi) e della piccola ma significativa rete di contatti diplomatici che il PCI ebbe e mantenne (tra cui direi gli inviati esteri dell'Unità); una storia che, dettagliando nel concreto quotidiano i contatti internazionali del PCI, ci aiuterebbe a capire il retroterra di difficoltà, scelte, carriere, politiche. Dall'altra le attività che sicuramente ci devono essere state di controllo del PCI da parte della sicurezza italiana (e/o USA). Sembra non plausibile che non vi sia stato un ufficio centrale per raccogliere e vagliare informazioni attendibili sulla vita interna della dirigenza PCI, i suoi rapporti con i paesi allora oltre cortina, la paura della presenza in luoghi delicati (vertici militari, industria militare e nucleare, istituti finanziari, diplomazia), o che non sia stata mantenuta una rete di confidenti e infiltrati. Una domanda a mio parere ovvia per capire il concreto di come i vincoli internazionali vennero attuati, ma che viene chiesta assai raramente. Passati tanti anni dalla conclusione della guerra fredda e dallo scioglimento del PCI, dovrebbe essere possibile capire se delle carte furono prodotte, e nel caso da chi (servizi, Carabinieri, un Ufficio affari riservati?), se sono ancora  conservate, o se via via furono distrutte, e nel caso perché.

Cambiando ambito e sessione, ampia la selezione di interventi su temi economico-sociali (modernizzazione, conflitto, Mezzogiorno, Donna e femminismo, il 68, ambientalismo, pacifismo, mass-media, ecc.), anche se nell'insieme la selezione sembra quella di un palinsesto di temi per uno special celebrativo di un rotocalco, o una campagna elettorale. Manca qualche tema meno ovvio, ma che forse ha lavorato nel profondo: quali genalogie possono individuarsi nella cultura media della dirigenza del PCI, a parte e oltre quelle dichiarate; quale il rapporto con la complessa tradizione giuridica italiana;  con quale pensiero cattolico ci fu minore distanza e in che senso il comunista del PCI fu un laico (secolare, ateo, ...); quanto il PCI ereditò, trasmutandolo, dal fascismo, e quanto cercò veramente di importare dall'esperienza concreta dell'organizzazione sociale dell'URSS.  E poi credo che un tema non banale sia quello delle conversioni, lo studio delle biografie di chi fu comunista e poi se ne allontanò, spesso denunciando e ripudiando, talvolta con rancore, una schiera ampia nel mondo e anche in Italia: da Tasca e Silone ai diversi diventati anticomunisti ai tempi della guerra fredda, e poi fino -con le dovute differenze da quelli-  a quasi tutta la dirigenza PCI che affrontò il 1989.

Manca un intervento sull'Italia 'rossa', e sarebbe invece uno studio che mi piacerebbe leggere, se scritto con la necessaria profondità di sguardo:  la realtà e il ruolo simbolico delle regioni 'rosse, le forme del particolare welfare popolare ivi attuato e il ruolo nella percezione comune (falsata?) di cosa il PCI fosse quando al potere. Nelle aree 'rosse', una impressione di massima è che una percentuale non piccola dei ceti popolari, da gli anni '60 del secolo scorso in poi, abbia potuto soddisfare le principali esigenze di vita (casa, beni di prima necessità, tutela del piccolo risparmio, socialità e ricreazione, sicurezza del reddito) grazie a una virtuosa combinazione di servizi delle organizzazioni 'rosse' (cooperative edili, circuito COOP, servizi sindacali, case del popolo e sport popolare, ecc.) e Stato sociale (scuola, salute, previdenza, informazione di Stato, ecc.). Il popolo di sinistra dell'Italia centrale ha così potuto vivere minimizzando il bisogno di prodotti (beni e/o servizi) forniti da imprese di capitali (con una battuta, hanno vissuto in una bolla a-capitalista).  Le domande al riguardo sono facili da formulare: come tutto ciò si sia formato e mantenuto, quale le condizioni (storiche, geografiche, economiche, sociali, istituzionali) e le politiche che lo hanno reso possibile; quanto tutto ciò abbia fatto parte dell'identità e percezione del proprio essere dei comunisti italiani e costituito l'immagine di che cosa una Italia rossa sarebbe potuta essere;  e inoltre quanto la realtà delle regioni 'rosse' e ciò che poteva suggerire fu in sintonia -piena o solo parziale?- con le altre componenti della koiné del partito (la lotta di classe e il ruolo del proletariato di fabbrica, la centralità leninista del partito, l'internazionalismo), ovvero quanto l'esperienza delle regioni 'rosse' fu veramente al centro della cultura profonda e della politica del PCI.

Last but not least, manca un intervento sulle fonti: cosa si possa trovare ancora nei fondi Comintern, se vi possano essere risorse nei depositi delle agenzie di sicurezza italiana, atlantiche ed ex-URSS, e da chi si potrebbe raccogliere utili testimonianze. Manca anche un intervento sulla storiografia 'ufficiale' del PCI sulla propria storia, e il ruolo che essa ebbe nella storia del PCI stesso.


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